Quando ho scattato la foto per questo post mi sono venuti in mente i famosi cavoli a merenda.
Le parole CAVOLI A MERENDA scorrono attraverso la mia cavità cranica in grandi lettere al neon, avrebbe scritto in una situazione simile Sam Pink
Già, perché il poeta ottocentesco austro-tedesco Rainer Maria Rilke e l’artista contemporaneo statunitense Sam Pink nella stessa immagine ci stanno come i cavoli a merenda, il giorno e la notte, il pesce col formaggio, eccetera.
Basta così. Non andate via. La mia lista di similitudini prive di charme letterario si ferma qui – ci tengo a non bruciare il successo planetario che auspico alla mia newsletter in lingua italiana già con questo primo post.
Se avessi cominciato a scrivere di quanto è buono il toast alla nutella alle quattro di pomeriggio saremmo stati tutti d’accordo, sarei stata investita di like, condivisioni, applausi, ricchi premi e cotillon.
Ma non è questo che mi interessa. (#ascetismo #snobismo, #la volpe e l’uva, #vivere d’aria, eccetera)
Ho scoperto Sam Pink la scorsa settimana ed è stato amore, anche se decisamente non alla prima pagina. Nelle centosei della meravigliosa traduzione operata da Davide de Lucca per la prima edizione italiana di Person (Digressioni Editore, 2020) la freccia di Cupido ha fatto centro, diciamo, intorno a pagina venti.
Non riuscivo a farmi un’opinione definitiva: genio letterario o l’ennesimo artista contemporaneo sopravvalutato?
Se lo stile di Sam Pink – una sorta di zona franca tra prosa e poesia – mi ha entusiasmata fin da subito, dall’altra mi sembrava che non avesse niente da dire, e io credo fermamente che per scrivere un pezzo di qualità la forma e il talento siano fondamentali, certo, ma avere qualcosa da dire lo sia altrettanto.
Su questo argomento lascio la parola a Rainer Maria Rilke, che della fusione dei confini tra prosa e poesia ne sapeva qualcosa. Quello che riporto qui sotto è uno dei passaggi della letteratura che amo di più. È tratto da I quaderni di Malte Laurids Brigge, splendidamente tradotto dal tedesco da Furio Jesi per Garzanti (1974).
Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d’infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era una gioia per altri), a malattie dell’infanzia che cominciano in modo così strano con tante trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti, e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.
Cosa dire allora di Sam Pink, che racconta la non-esperienza della vita, l’apatia dell’azione e del pensiero?
Il suo protagonista è privato addirittura di un’identità e diventa Person.
Person sembra rifuggire la coerenza, dimostrandosi capace di costanza solo nell’interruzione del flusso di senso tra pensiero, azione e parole.
Ma è davvero non-esperienza quella di Person?
Io credo piuttosto che Sam Pink operi di un’abiura al senso comune, all’identità come costrutto, e porti il pensiero esistenzialista all’estremo.
Chi siamo noi, una volta spogliati di tutti questi strati posticci?
Person non può essere un protagonista perché non c’è nulla che lo renda speciale, diverso, identico solo a se stesso. Person va controcorrente e anziché ricercare la costruzione di un’identità-fantoccio, ne opera la distruzione. Sembra che attraverso Person Sam Pink voglia ridare un senso più autentico alla vita privandola di quello comune, e lo faccia operando una decostruzione di forma e contenuti.
L’identità si mostra allora come un costrutto, non reale, molto più distante dall’essenza di quanto ci piaccia credere.
Sam Pink ci esorta a una sorta di esercizio, a provare a sviluppare un pensiero puro, libero dalle aspettative, dalle ideologie, dall’immagine che abbiamo di noi:
Passiamo di fronte a un piccolo cartellone pubblicitario che dice: “Anche gli embrioni sono bambini”.
«Anche gli embrioni sono bambini» dico guardando la pubblicità che se ne resta dietro di noi.
«Oh sì.»
«Sì» dico.
Lui dice: «E le macchine, anche le macchine sono bambini?»
«Penso di sì» dico. «O, aspetta, forse noi. No, le macchine non sono bambini. Le macchine hanno un motore e i bambini no.»
Lui alza le sopracciglia, continuando a guardare la strada.
«I bambini non hanno un motore. Sei sicuro?»
«No, non ce l’hanno. Sono sicurissimo.» dico.
«A meno che non si consideri il cuore come un motore» dice lui.
«Cosa che io non faccio.»
Il mio coinquilino raddrizza la schiena e mette entrambe le mani sul volante.
«Okay» dice, «e le strade? Anche le strade sono bambini?»
Ci penso.
Cosa c’entrava allora Rainer Maria Rilke, ti starai chiedendo ora, caro lettore.
Assolutamente niente.
Se non che ho sempre pensato che avesse ragione, sulla necessità imprescindibile dell’esperienza per poter scrivere versi.
E poi ho letto Sam Pink.
Ma non avevo scritto che anche quella di Person è esperienza?
No. Non lo so.*
* “No. Non lo so.” È una delle frasi ritornello usate da Sam Pink in Person.